LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria 
 
    Composta dai seguenti magistrati: 
      Salvatore Nicolella - Presidente; 
      Pasquale Fava - Consigliere, relatore; 
      Chiara Vetro - Consigliere; 
    ha pronunciato la seguente sentenza non  definitiva  -  ordinanza
nel giudizio di  responsabilita'  iscritto  al  n.  12752  del  ruolo
generale,  promosso  dalla  Procura  regionale  presso   la   Sezione
giurisdizionale della Corte dei  conti  per  l'Umbria,  con  atto  di
citazione depositato il 26 gennaio 2018, nei confronti di C. S., nata
a ... il ..., residente in ..., rappresentata e difesa dall'avv. Siro
Centofanti, presso il quale ha  eletto  domicilio  in  Perugia  nello
studio       di       via       Cesare       Fani        n.        14
(siro.centofanti@avvocatiperugiapec.it). 
    Visto l'atto introduttivo del giudizio. 
    Visti gli altri atti e documenti di causa. 
    Udito nella pubblica udienza del 18 luglio 2018, con ]'assistenza
del segretario dott.ssa Melita  Di  Iorio,  il  Consigliere  relatore
Pasquale Fava. 
    Uditi, nella medesima udienza, il Procuratore  regionale  Antonio
Giuseppone e l'avv. Siro Centofanti. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
1. La prospettazione della Procura regionale. 
    Con atto di citazione depositato il 26 gennaio  2018  la  Procura
regionale ha convenuto in giudizio  la  sig.ra  C.  S.  per  sentirla
condannare al pagamento in favore del Comune di Assisi di € 20.064,81
oltre rivalutazione monetaria e interessi legali su  tale  importo  e
spese di giustizia, queste ultime in favore dello Stato. 
    La convenuta, nella qualita' di dipendente  dell'Ufficio  turismo
del predetto Ente locale, avrebbe  falsamente  attestato  la  propria
presenza in servizio nei giorni 20, 22, 27 e 29  marzo  2017  tra  le
17,00 e le 18,00. 
    La S. infatti, pur uscendo  effettivamente  alle  17,00,  avrebbe
attestato la propria presenza sino alle ore 18,00. 
    Cio' sarebbe stato  possibile  in  quanto  l'Ufficio  turismo  e'
separato dalla Sede comunale (nella quale soltanto sono collocati gli
appositi  strumenti  di  rilevamento  delle   presenze),   quindi   i
dipendenti assegnati al medesimo possono  usare  il  badge  solo  per
attestare l'ingresso in servizio e non invero  l'uscita,  essendo  la
Sede centrale gia' chiusa alle 18,00. 
    Per tali ragioni organizzative, i dipendenti dell'Ufficio turismo
attestano l'orario di uscita su modelli poi acquisiti al  sistema  di
rilevazione automatico delle presenze. 
    La  Procura  regionale,  in  base  ai   tabulati   acquisiti   al
procedimento  penale  promosso  sugli  stessi   fatti,   considerando
infondate  le  eccezioni  sollevate   nelle   controdeduzioni   dalla
convenuta, ha puntualizzato nei termini  che  seguono  gli  orari  di
entrata  e  di  uscita  -  i  secondi  rispettivamente  attestati  ed
effettivi - della dipendente nei  giorni  in  questione:  «giorno  20
marzo la dipendente e' entrata alle ore 8,19 ed e' uscita alle  18,00
(in realta' le 17,00, come gia' detto); il 22 marzo e'  entrata  alle
8,44, ed e' uscita alle 18,00  (17,00  effettive);  il  27  marzo  e'
entrata alle 8,32 ed e' uscita alle 18,00 (17,00),  il  29  marzo  e'
entrata alle 9,03 ed  e'  uscita  alle  18,00  (17  reali)»  (pag.  6
dell'atto di citazione). 
    Di conseguenza le ha contestato un danno patrimoniale  pari  a  €
64,81, derivante dalla percezione  indebita  della  retribuzione  nei
periodi per il quali e' mancata la prestazione lavorativa. 
    In aggiunta ha chiesto la sua condanna  al  pagamento  del  danno
all'immagine da liquidarsi equitativamente in €  20.000,00  ai  sensi
dell'art. 55-quater, comma 3-quater, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, come modificato dal decreto legislativo 20 giugno 2016,
n. 116, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lettera s), della  legge
7 agosto 2015, n. 124. 
2. Le difese della convenuta. 
    C.  S.  ha  contestato  la  fondatezza  dell'atto  di   citazione
deducendo che avrebbe sempre  lavorato  per  tutto  il  giorno  senza
fruire  di  pausa  pranzo,  essendo  oltretutto  l'unica   dipendente
dell'Ufficio  ad  aver  assicurato  la  propria  disponibilita'  alla
permanenza anche nel pomeriggio. 
    Circa i periodi di falsa attestazione della propria  presenza  in
servizio, al termine della  prestazione  lavorativa  giornaliera  nei
quattro giorni indicati, ha segnalato che, avendo compilato i  moduli
cartacei dopo svariati  giorni,  non  avrebbe  potuto  ricordare  con
precisione l'orario di uscita. Ne ha dedotto la  carenza  di  dolo  e
intenzionalita' data l'impossibilita' di rammentare,  all'atto  della
compilazione, gli orari precisi di uscita effettiva. 
    Sotto questo profilo  ha  sollecitato  un'istruttoria  presso  il
Comune di Assisi, onde ottenere l'esibizione dei predetti moduli  con
l'indicazione della data di compilazione degli stessi. 
    ha anche segnalato la tenuita' dei fatti e l'esiguita' del  danno
patrimoniale relativo alla retribuzione indebitamente  percepita  per
le poche ore in contestazione (il suo stipendio mensile lordo era  di
€  1.679,00  e  quello  netto  di  €  1.300,00,  con   valore   della
retribuzione oraria pari rispettivamente ad € 10,76 lordi ed  €  8,33
netti). 
    Dal punto di vista del quadro normativa su cui si basa  l'accusa,
la  convenuta  ha  articolato  alcune   questioni   di   legittimita'
costituzionale della disposizione di cui si e' detto; in particolare,
per  difetto  di  delega  (art.  76  Costituzione)   trattandosi   di
previsioni  di  diritto  sostanziale  non  aventi   ad   oggetto   il
procedimento  disciplinare  bensi'  quello  contabile;   ovvero   per
irragionevolezza  (art.  3   Costituzione)   in   quanto   la   norma
equiparerebbe situazioni diverse meritevoli di trattamento eterogeneo
e obbligherebbe alla irrogazione di sanzioni gravi anche in  presenza
di fattispecie tenui (come accade nel caso di specie). 
    Manifestando la  propria  disponibilita'  a  risarcire  il  danno
arrecato, circa la quantificazione del  pregiudizio  all'immagine  ha
rappresentato che la fattispecie  concreta  non  sarebbe  sussumibile
all'interno delle previsioni dei commi  3-bis  e  3-quater  dell'art.
55-quater del decreto legislativo n. 165 2001, non potendo affermarsi
l'esistenza di un'ipotesi di flagranza, ne' di un accertamento  della
falsa  attestazione  attraverso  strumenti  di  sorveglianza   o   di
registrazione. 
    In via di mero subordine, ha chiesto la  liquidazione  del  danno
all'immagine nella misura minima di € 7.800,00 (€ 1.300,00 x 6). 
    3. Nel corso del pubblico dibattimento  del  18  luglio  2018  le
parti hanno richiamato gli scritti gia' versati in atti  e  ne  hanno
illustrato  le  argomentazioni,  ribadendo  le   domande,   eccezioni
conclusioni gia' rassegnate. 
    La causa, in quanto matura, e' stata trattenuta in  decisione  ed
e' stata definita, come da dispositivo, nella camera di consiglio del
19  luglio  2018,  tenutasi  al  termine  della  complessiva  udienza
pubblica. 
 
                       Motivi della decisione 
 
A. Fondatezza dell'azione risarcitoria pubblicistica  promossa  dalla
Procura  regionale  nei  confronti  della  convenuta:   condanna   al
risarcimento del danno  patrimoniale  da  percezione  indebita  della
retribuzione in mancanza di prestazione lavorativa  e,  limitatamente
all'debeatur, del pregiudizio all'immagine. 
    L'azione risarcitoria attivata dalla Procura regionale e' fondata
per i profili di seguito indicati. 
    Dalla documentazione versata in atti (note del Comune  di  Assisi
29 agosto 2017, prot.  30919;  27  settembre  2017,  prot.  34948;  9
novembre 2017, prot. 41918, con allegati) emerge inequivocamente  una
condotta di falsa attestazione della presenza  in  servizio  mediante
l'alterazione  dei  sistemi  di   rilevamento   e   altre   modalita'
fraudolente di cui all'art.  55-quater  del  decreto  legislativo  n.
165/2001, introdotto dall'art. 69, comma 1, del  decreto  legislativo
27 ottobre 2009, n. 150, nella formulazione in vigore  al  tempo  dei
fatti  in  questione,  condotta  accertata  attraverso  strumenti  di
sorveglianza e di registrazione. 
    Il  comma  1-bis  del  menzionato  art.   55-quater,   introdotto
dall'art. 1, comma 1, lett. a), del  decreto  legislativo  20  giugno
2016, n. 116, quindi in vigore al tempo  dei  fatti  contestati  alla
convenuta, prevede che «costituisce falsa attestazione della presenza
in servizio qualunque modalita' fraudolenta posta  in  essere,  anche
avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in  servizio  o
trarre in inganno l'amministrazione presso  la  quale  il  dipendente
presta attivita' lavorativa circa il rispetto dell'orario  di  lavoro
dello stesso». 
    La condotta posta in essere dalla convenuta integra certamente la
richiamata fattispecie che, allo stesso tempo,  costituisce  illecito
penale, disciplinare e contabile. 
    Gli art. 55-quater e  55-quinquies  del  decreto  legislativo  n.
165/2001 prevedono, inoltre, che la Procura regionale della Corte dei
conti debba perseguire i  responsabili  richiedendo  la  condanna  al
risarcimento  sia  del  «danno   patrimoniale,   pari   al   compenso
corrisposto a titolo di retribuzione nei  periodi  per  i  quali  sia
accertata la mancata prestazione», che del danno all'immagine, la cui
liquidazione e' rimessa  alla  «valutazione  equitativa  del  giudice
anche  in  relazione  alla  rilevanza  del  fatto  per  i  mezzi   di
informazione [fermo restando che] i  l'eventuale  condanna  non  puo'
essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento,
oltre interessi e spese di giustizia». 
    I dipendenti pubblici tenuti al rispetto di un orario di  lavoro,
in quanto la prestazione puo' essere  svolta  solo  presso  l'Ufficio
pubblico, sono obbligati a prestarla secondo le modalita', le forme e
i tempi stabiliti dal datore di lavoro pubblico, avendo  l'utenza  un
vero e proprio diritto pubblico soggettivo all'esercizio del potere e
al disbrigo delle  pratiche  di  ufficio  per  tutto  il  periodo  di
apertura della Struttura. 
    La convenuta, invece, in  violazione  delle  predette  regole  di
condotta e degli obblighi di  presenza  in  servizio,  ha  modificato
l'orario di uscita, anticipandolo di un'ora rispetto a quello da  lei
dichiarato   e   attestato,    disvelando    una    predeterminazione
intenzionale. 
    Al riguardo l'eccezione sollevata dalla medesima,  relativa  allo
scollamento  temporale  tra  il  giorno  dell'uscita  e   quello   di
sottoscrizione del relativo modulo cartaceo,  non  ha  pregio  uscita
dall'Ufficio e avrebbe dovuto annotare  il  momento  esatto  per  poi
riportarlo sul modulo oppure compilare immediatamente  lo  stesso  al
tempo dell'uscita per poi consegnarlo successivamente. 
    Per  tali  ragioni,  la  convenuta  deve  essere  condannata   al
pagamento di € 64,81, pari alle retribuzioni indebitamente  percepite
in assenza di prestazione lavorativa. 
    Poiche' l'illecito contabile  ha  natura  di  debito  di  valore,
secondo i criteri seguiti costantemente  dalla  giurisprudenza  della
Corte di cassazione (Cassazione civile, Sezioni  unite,  17  febbraio
1995, n. 1712; Sezione terza, 10 marzo 2006, n. 5234)  devono  quindi
essere  corrisposti  gli  interessi  legali  sulla   predetta   somma
rivalutata, anno per anno. 
    Il dies a quo della liquidazione, nello  specifico,  deve  essere
individuato nella data di erogazione dei compensi non dovuti; il dies
ad quem, invece, va individuato nella  data  di  pubblicazione  della
presente sentenza non definitiva. 
    Sul  totale,  risultante  dal  calcolo  innanzi  descritto,  sono
altresi'  dovuti  gli  interessi  legali  dalla  pubblicazione  della
presente decisione non definitiva fino all'effettivo soddisfo ex art.
1282, comma 1, c.c. 
    A seguito della pubblicazione, difatti, tutte le somme per cui e'
condanna  risarcitoria  divengono  certe,   liquide   ed   esigibili,
determinandosi la cosiddetta conversione  del  debito  di  valore  in
debito di valuta. 
    Venendo al danno all'immagine, il Collegio rileva che  sussistono
nella fattispecie tutti gli elementi oggettivi, soggettivi e  sociali
della posta risarcitoria avendo  avuto  la  vicenda  risonanza  nella
stampa locale (puntualmente allegata da parte attrice). 
    Le nuove previsioni normative applicabili alla specie presentano,
del resto, funzioni sanzionatorie e deterrenti onde rendere  efficace
il contrasto dei comportamenti assenteistici. 
    L'azione di  responsabilita'  contabile  intestata  alla  Procura
regionale, ontologicamente compensativa (tendendo al  ripristino  del
patrimonio  pubblico  danneggiato,  come  riconosciuto  dalla   Corte
europea dei diritti dell'uomo nella celebre sentenza Rigolio c/Italia
[CEDU, sentenza 13 maggio  2014  (ric.  20148/09)],  subisce  infatti
nell'art.  55-quater  del  decreto  legislativo  n.  165/2001,  comma
3-quater, ultima parte dell'ultimo periodo, come modificato dall'art.
1, comma 1, lett. b),  del  decreto  legislativo  n.  116/  2016,  in
attuazione dell'art. 17, comma 1, lett.  s),  della  legge  7  agosto
2015,  n.  124,  una  evidente  torsione  sanzionatoria  che  non  si
presenta,    sotto    questo    specifico     profilo     funzionale,
costituzionalmente irragionevole in considerazione delle condotte che
tende a contrastare. 
    Per quanto sopra, dalla documentazione versata in atti emerge che
la convenuta ha posto in essere la condotta contestata dalla  Procura
regionale  e,  per  tale  ragione,  ella  deve  essere  condannata  a
risarcire al Comune di Assisi, oltre al danno  patrimoniale  relativo
alla retribuzione percepita in assenza di prestazione lavorativa,  il
pregiudizio all'immagine inferto all'Amministrazione locale. 
    La  quantificazione  del  danno   all'immagine   rende   tuttavia
rilevante risolvere la questione di legittimita' costituzionale della
normativa introdotta dalla  riforma  del  2016  (di  cui  la  Procura
regionale ha invocato l'applicazione), questione che si articola  nei
profili di seguito illustrati. 
  B.1 - La quantificazione del danno  all'immagine.  Sulla  rilevanza
delle questioni di costituzionalita' dell'art. 55-quater del  decreto
legislativo n. 165/2001, comma  3-quater,  ultima  parte  dell'ultimo
periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b)  del  decreto
legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma  1,  lett.
s) della legge 7 agosto 2015, n. 124. 
    Il decreto legislativo 20 giugno  2016,  n.  116,  in  attuazione
della delega posta del 7 agosto 2015, n.  124,  ha  disciplinato,  in
caso di falsa attestazione della presenza in servizio,  accertata  in
flagranza  ovvero   mediante   strumenti   di   sorveglianza   o   di
registrazione degli accessi o delle presenze (ipotesi che si  ravvisa
nel caso concreto  essendo  stata  accertata  la  falsa  attestazione
attraverso  i  sistemi  di  sorveglianza  predisposti   dalle   Forze
dell'ordine), la  procedura  sanzionatoria  etichettata  in  dottrina
«licenziamento abbreviato o per direttissima» in virtu'  della  quale
il responsabile della Struttura in cui il dipendente lavora e' tenuto
a disporne immediatamente  la  sospensione  cautelare  dal  servizio,
provvedendo   nel   contempo   alla   contestazione   per    iscritto
dell'addebito  e  alla  convocazione  del  dipendente  stesso  presso
l'Ufficio  per  i  procedimenti  disciplinari  dal  quale  -   previo
contraddittorio ed esercizio del diritto di difesa  procedimentale  -
sara'  poi  irrogato,  in  caso  di  fondatezza,   il   provvedimento
sanzionatorio (licenziamento disciplinare). 
    Il comma 3-quater poi, prevede che la  Procura  della  Corte  dei
conti sia tenuta a emettere l'invito a dedurre per danno all'immagine
entro tre mesi dalla conclusione della  procedura  di  licenziamento.
Circa  la  quantificazione  del   pregiudizio   all'immagine   l'art.
55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, comma 3-quater, ultimo
periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del  decreto
legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma  1,  lett.
s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, dispone che: «l'ammontare  del
danno risarcibile e' rimesso alla valutazione equitativa del  giudice
anche  in  relazione  alla  rilevanza  del  fatto  per  i  mezzi   di
informazione  e  comunque  l'eventuale  condanna  non,  puo'   essere
inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento,  oltre
interessi e spese di giustizia». 
    La Procura regionale ha chiesto l'applicazione  di  questa  norma
(«Per  giurisprudenza  consolidata  e  per  il   disposto   dell'art.
55-quater,  comma  3-quater,  decreto  legislativo  n.  165/2001   la
quantificazione di detto danno deve avvenire equitativamente.  A  tal
fine questo Requirente, applicando i parametri oggettivi,  soggettivi
e sociali elaborati dalla giurisprudenza [...] e considerando che  ai
sensi della predetta norma il  danno  all'immagine  non  puo'  essere
inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in  godimento  della
dipendente (quantificato dal Comune di Assisi in € 1.300,71 netti per
il mese di  giugno  2017),  determina  il  danno  all'immagine  in  €
20.000,00» - pag. 9 dell'atto di citazione). 
    Non vi e' alcun  dubbio,  quindi,  circa  l'applicabilita'  della
norma censurata alla  fattispecie  controversa  in  quanto  la  falsa
attestazione della presenza in servizio commessa dalla  convenuta  e'
stata accertata attraverso strumenti di sorveglianza e  registrazione
degli accessi e delle presenze. 
  B.2  -  La  quantificazione  del  danno  all'immagine.  Sulla   non
manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' 55-quater
del decreto legislativo n. 165/2001,  comma  3-quater,  ultima  parte
dell'ultimo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1,  lett.  b)
del decreto legislativo n.  116/2016,  in  attuazione  dell'art.  17,
comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124. 
    Le questioni di costituzionalita' sollevate  dalla  difesa  della
convenuta, oltre  ad  essere  rilevanti  (dovendo  il  Collegio  dare
applicazione al caso di specie dell'art. 55-quater,  comma  3-quater,
ultima  parte,  del  decreto  legislativo  n.  165/2001),  sono   non
manifestamente infondate, secondo quanto di seguito si osserva. 
  B.2.1 - Sulla violazione dell'art. 76 della Costituzione. 
    La  norma,  come  correttamente  rilevato  dal  difensore   della
convenuta, e' stata introdotta  dal  Legislatore  delegato  (art.  1,
comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116) in virtu' di
potere legislativo conferito dall'art. 17, comma 1,  lett.  s)  della
legge 7 agosto 2015, n. 124, come emerge  dalla  stessa  rubrica  del
decreto  legislativo  («Modifiche  all'art.  55-quater  del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell'art.  17,  comma  1,
lettera s), della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di
licenziamento disciplinare»). 
    Il testo della norma di delega  fissa  il  seguente  principio  e
criterio  direttivo:   «introduzione   di   norme   in   materia   di
responsabilita' disciplinare dei pubblici dipendenti  finalizzate  ad
accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e  di
conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare» (art. 17  comma  1,
lett. s) della legge 7 agosto 2015, n. 124). 
    Appare evidente che il decreto di  riordino  non  avrebbe  potuto
incidere   sulla   disciplina    dell'azione    di    responsabilita'
amministrativa intestata  alla  Procura  regionale  della  Corte  dei
corti, ne' tanto meno  avrebbe  potuto  porre  regole  finalizzate  a
ridisciplinare in funzione sanzionatoria i  criteri  di  computo  del
danno all'immagine. 
    L'azione intestata alla Procura regionale di questa Corte per  il
risarcimento della specifica posta di danno all'immagine, pur  avendo
nel caso di specie una (eccezionale) natura sanzionatoria, in  quanto
fissa un criterio di determinazione del quantum dovuto che  prescinde
dall'identificazione    puntuale     del     pregiudizio     arrecato
all'Amministrazione   danneggiata,   non   e'    confondibile,    sia
funzionalmente che strutturalmente, con il procedimento  disciplinare
che il legislatore delegato aveva posto ad oggetto della delega. 
    Anche  in  ragione  della  natura  di  mero  «riordino»,  fissata
espressamente dall'art. 17  della  legge  n.  124/2015,  del  decreto
legislativo  in  materia  disciplinare  («introduzione  di  norme  in
materia  di  responsabilita'  disciplinare  dei  pubblici  dipendenti
finalizzate ad accelerare e rendere concreto e  certo  nei  tempi  di
espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare» -
art  1,  lett.  s)],  il  Legislatore  delegato  non  avrebbe  potuto
introdurre norme di diritto sostanziale volte a  fissare  criteri  di
liquidazione del  danno  all'immagine  da  falsa  attestazione  della
presenza in servizio (peraltro fissando, come si vedra',  una  soglia
sanzionatoria inderogabile nel minimo che potrebbe essere in concreto
sproporzionata rispetto al caso concreto). 
    Nell'ordinamento  italiano,  come  pure  giuridiche  europee,  e'
ampiamente  ammesso,  nella  materia  del  rapporto  di  lavoro  alle
dipendenze delle Pubbliche amministrazioni,  il  cumulo  di  sanzioni
civili, penali, amministrative e contabili (per il recente  mutamento
di indirizzo nella giurisprudenza  convenzionale  Corte  EDU  (Grande
camera), sentenza 15 novembre 2016,  A  e  B  c.  Norvegia,  ric.  n.
24130/11 e 29758/11; Corte costituzionale, sentenza 24 gennaio  2018,
n. 43). 
    Il presupposto largamente condiviso risiede  nella  eterogeneita'
funzionale e strutturale delle svariate sanzioni che  sono  applicate
da Autorita' diverse,  seguendo  procedimenti  diversificati  pur  se
coordinati, al fine di perseguire obiettivi non sovrapponibili sempre
che la risposta sanzionatoria sia, nel  complesso  proporzionata  (in
proposito di recente anche Corte di  giustizia,  Grande  sezione,  20
marzo 2018, C-524/15, Menci; C-537/16, Garlsson  Real  Estate  e  a.;
C-596/16 e C-597/16 Di Puma e Zecca). 
    La descritta  eterogeneita'  e  non  confondibilita'  tra  poteri
sanzionatori disciplinari del datore di lavoro pubblico e  poteri  di
azione nell'interesse generale intestati alla  Procura  regionale  di
questa  Corte,  rende  palese  l'eccesso  di  delega  in  cui,   come
correttamente rilevato dalla difesa della convenuta,  e'  incorso  il
Legislatore. 
  B.2.2 - Sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione  [anche  in
combinazione con gli art. 23, 117, primo  comma,  della  Costituzione
rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e  all'art.  4
del Protocollo n. 7 addizionale di detta convenzione firmata  a  Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto
1955, n. 848, in quanto norme interposte]. La violazione dei principi
di gradualita' e proporzionalita' sanzionatoria. 
    Dal  punto  di  vista  della  costituzionalita'  sostanziale,  la
previsione normativa, come giustamente prospettato dalla difesa della
convenuta, appare manifestamente irragionevole atteso che obbliga  il
Giudice contabile a irrogare una condanna sanzionatoria  senza  tener
conto dell'offensivita' in concreto della condotta posta in essere. 
    L'obbligatorieta'  del  minimo  sanzionatorio  («sei   mensilita'
dell'ultimo stipendio in godimento, oltre  interessi  e  spese  d  in
ipotesi  di  fondatezza  della  contestazione   relativa   al   danno
all'immagine,  impedisce  al  Collegio  di   dare   rilevanza   altre
circostanze specifiche peculiari e caratterizzanti il caso  concreto,
come impone al Giudicante un verdetto condannatorio pur  in  presenza
di condotte marginali e tenui che  abbiano  prodotto  un  pregiudizio
minimo   poco   significativo,   violando   sia   il   principio   di
proporzionalita' che quello della gradualita' sanzionatoria. 
    La disposizione, quindi, viola i principi fondamentali e generali
n  materia  sanzionatoria  impedendo  a  Giudicante  una  valutazione
appropriata della fattispecie concreta, adeguando essa a  complessiva
risposta  sanzionatoria  del  sistema  come  imposto   dalla   citata
giurisprudenza sovranazionale convenzionale EDU ed eurounitaria. 
  B.3.  -  La   quantificazione   del   danno   all'immagine.   Sulla
impossibilita' di una lettura costituzionalmente orientata  dell'art.
55-quater del decreto legislativo n. 16512001, comma 3-quater, ultima
parte dell'ultimo periodo come modificato dall'art. 1, comma 1, lett.
b) del decreto legislativo n. 116/2016, in attuazione  dell'art.  17,
comma 1, lett. s), della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,  tale  da
escludere censure di costituzionalita'. 
    La  formulazione  normativa  preclude  ogni  margine  di  manovra
all'interpretazione    correttiva    giudiziale    costituzionalmente
orientata. 
    La norma, pur rimettendo la determinazione del danno all'immagine
alla  valutazione  equitativa  del  giudice,  obbliga,  in  caso   di
fondatezza  dell'azione  risarcitoria  pubblicistica  esperita  dalla
Procura regionale, a condannare il convenuto nella misura minima  non
inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento. 
    L'obbligatorieta'  del  minimo   edittale   sanzionatorio   rende
impossibile  ogni   adeguamento   al   caso   concreto,   precludendo
l'operarivita' del principio di proporzionalita' della  sanzione  che
impone l'adeguamento  della  tipologia  e  consistenza  della  misura
sanzionatoria  al  grado,  natura  e   carattere   della   violazione
riscontrata. 
    Nel caso concreto questa Corte, stante la fondatezza  dell'azione
e nonostante la  tenuita'  del  fatto  e  il  carattere  lieve  delle
violazioni riscontrate  (pochissime  ore  di  falsa  attestazione  in
relazione a quattro giornate non reiterate),  dovrebbe  applicare  il
minimo  sanzionatorio  che  appare,  alla  luce   della   fattispecie
concreta, eccessivo, sproporzionato irragionevole. 
    Per quanto sopra esposto, visti gli articoli 134  Costituzione  e
la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23,  questa  Sezione,  dichiarate
rilevanti e non manifestamente infondate le prospettate questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  55-quater,  comma  3-quater,
ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165,  come
modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 20
giugno  2016,  n.  116  (recante  «modifiche  [...]  in  materia   di
licenziamento disciplinare»), in attuazione dell'art.  17,  comma  1,
lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, dispone, in conseguenza,
la  sospensione  del  giudizio  in  epigrafe,  ordinando  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli adempimenti a
cura della Cancelleria di cui al dispositivo. 
    Le  spese  del  giudizio  saranno  liquidate   alla   definizione
integrale del merito della presente controversia.